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Oslo

11-07-2023

“In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare” Andrej Tarkowsky

Sono partita dall'aeroporto di Venezia con i miei compagni di viaggio, Andrea e Nicolò, curiosa di scoprire un Paese del Nord in cui non ero mai stata prima.

Ero emozionata, soprattutto mentre facevo il check-in e iniziavo a realizzare che fosse vero: stavo partendo per un viaggio all'estero dopo due anni di fermo.

In realtà, il vero momento in cui ho realizzato di essere partita, è stato quando, durante lo scalo a Francoforte ho mangiato il "Brezel" con la famosa "Frankfurter" e la senape in grani. Già, mi trovavo in Germania ed ero veramente partita 😊

Il libro che mi accompagnava da qualche settimana e, che ho quasi finito di leggere in aereo, si intitolava "Il coraggio di non piacere. Liberati dal giudizio degli altri e trova l’autentica felicità" di Ichiro Kishima e Fumitake Koga.

Amo lasciare che siano gli oggetti e le persone a venire da me, senza forzare, perché credo che tutto arrivi al momento giusto, quando il tempo è maturo. E così è stato con il libro.

Tuttora lo sto elaborando, rendendo miei gli insegnamenti che cerca di trasmettere, ma non a caso l'ho letto in gran parte su quell'aereo, doveva sbloccare qualcosa, nel profondo.

Arrivati all'aeroporto di Oslo abbiamo preso il treno direzione Stazione Centrale, l'aeroporto si trova a circa 20 minuti dalla città. Durante il tragitto già si vedeva la Norvegia: distese di prati dolci, collinari con macchie di bosco infinite che scorrevano veloci tra una casa e l'altra in tipico stile norvegese. Guardando quei paesaggi non potevo fare a meno di immaginare quando il cugino di mio nonno, Marcello, membro della nazionale italiana di sci di fondo, durante la prova del tracciato delle Olimpiadi, si perse in quei boschi per un'intera notte congelandosi le dita dei piedi per poi essere per fortunatamente ritrovato all'indomani ancora in vita. Quell'episodio segnò purtroppo la fine della sua carriera: unico "non nord europeo" in grado di riuscire, in quegli anni, a battere gli scandinavi grazie ai suoi 27 battiti a riposo. Ha davvero dell'incredibile, ma questa è un'altra storia...

Scendiamo dal treno e ci rechiamo nel nostro albergo. La prima cosa che ci colpisce sono la quasi totalità di auto elettriche in circolazione e i volti giovani che riempiono la città.

Oslo è una città giovane, ecologica, dinamica con forti contrasti tra il vecchio e il nuovo. È incredibile come una capitale che, insieme all'Hinterland, conta quasi 1 mln di abitanti sia percepita nell'atmosfera come una piccola cittadina. C'è pochissimo traffico, poco rumore e la gran parte delle persone si muove a piedi o con monopattini elettrici.

Ci dedichiamo subito a visitarne il centro con edifici dall'architettura innovativa e i suoi musei come quello dedicato a Edvard Munch, che mette in mostra la sua opera più famosa, l'Urlo.

Ma ciò che più cattura la mia attenzione è l'atmosfera di questo posto. Mentre cammino davanti alla Biblioteca e all'Opera, con il sole dalla luce romantica e calda, noto tantissime persone intorno a me felici. Chi seduto sulle gradinate a mangiare un takeaway, chi sulla piazzetta a fare balli latini di gruppo, chi passeggia con i propri figli senza fretta lungo l'acqua. Non importa come, non importa dove, erano persone felici.

E cos'è quindi la felicità?

Mi fermo sulla terrazza sopra la Biblioteca e mi godo quei momenti di tranquillità ammirando il fiordo che si apre davanti a me. C'è una leggera brezza che quasi da sollievo, la temperatura è un po' sopra la media in effetti, mentre la scultura galleggiante dell'artista veneziana contemporanea Monica Bonvicini dona giochi di luce curiosi sulle sue superfici.

Quella stessa sera usciamo a cena con Camilla e Henrik. Camilla è la sorella di Nicolò, si è trasferita ad Oslo alcuni anni fa per studiare all'università, Henrik è il suo compagno, un ragazzo autoctono, dai tratti e colori nordici. Ci perdiamo in discorsi del passato, e, dopo aver espresso il desiderio di andare a provare una "surf week" condividendo le giornate, lo sport e la casa con altre persone, scopro che Henrik ha vissuto per oltre 4 mesi a Bali. Dopo la maturità, con poco più di millequattrocento euro è riuscito a vivere lì, per alcuni mesi, trascorrendo le sue giornate al mare facendo surf. Che bello!

E mentre mi racconta, con la luce negli occhi, di quei mesi trascorsi in Indonesia, noto sotto la sua camicia semi sbottonata un tatuaggio: un grande veliero sul petto.

Che voglia di libertà!

All'indomani ci svegliamo presto e partiamo per un tour della città, passando per il Palazzo Reale, il Municipio, la Borsa, Aker Brygge dove c'è la possibilità di fare il bagno in mare e la sauna su una GreenBoat come un vero norvegese.

Saliamo sulla minicrociera per fare il giro del fiordo, passiamo quindi da una Oslo moderna alla Oslo tradizionale. Innumerevoli casette in legno colorate scorrono davanti a noi quasi facendo sembrare che il tempo si sia fermato. Ci raccontano che queste case in tipico stile norvegese sono prevalentemente seconde case, tramandate di generazione in generazione, utilizzate per le vacanze e i fine settimana. Oltre ad essere tutelate per la loro architettura, risulta particolarmente difficile riuscire ad acquistarne una, proprio per il legame famigliare che custodiscono.

Ho amato navigare nel fiordo, tra il vento, il mare calmo, la luce della Norvegia e la pace di quel paesaggio. Era come se fossi partita per un mare lontano, lasciando dietro di me qualcosa, non avevo ancora capito cosa, ma lo stavo lasciando, mentre una lacrima mi scendeva sulla guancia.

E solo ora, mentre scrivo queste righe, capisco che oramai, senza rendermene conto, il vero viaggio era iniziato.

Saliamo sul treno che ci porta a Holmenkollen, con il suo trampolino e il museo dello sci. Scendiamo dal treno e ci avviamo a piedi per circa 10 minuti. C’era pochissima gente, l'aria soffiava fresca, si percepiva di essere più in alto rispetto alla città. Arrivati alla base della struttura, troviamo un simulatore, ci entriamo e sfrecciamo giù per la pista delle olimpiadi: le mie gambe si muovevano da sole, come una danza, con armonia, come se non si fossero mai dimenticate di come si affrontava una discesa libera, con i suoi salti, la sua tecnica e la sua scorrevolezza.

Usciamo dal simulatore e ci addentriamo nel museo, passiamo fra la storia dello sci, fino ad arrivare ai tempi nostri. Ed erano lì, un paio di Atomic, del 2007, di Aksel Lund Svindal. Rossi e grigi, con la superficie ruvida "pitonata", uguali ai miei. Quanti ricordi, quante emozioni, un nodo alla gola. Ripercorro quegli anni, il terzo posto in slalom gigante a livello nazionale, quello undicesimo a livello internazionale. Sospiro, sorrido con un velo di malinconia.

Proseguiamo nel museo fino a fermarci davanti a una cartina gigante dei tracciati di sci fondo percorribili: un territorio immenso, pieno di colline e boschi che aspettano di essere vissuti. Ma non è ancora il momento.

Arriviamo alla fine del museo e capiamo di avere due scelte: uscire o proseguire fino in cima al trampolino. Saliamo con l’ascensore che utilizzano anche gli atleti per raggiungere la cima, e, ci rendiamo contro che quella parte di trampolino si erge a sbalzo nel vuoto, senza pilastri o punti di sostegno. Il senso di vuoto sotto ai piedi si fa sentire, ma la vista dall'alto sulla città, sul fiordo e sull'entroterra selvaggio è davvero meravigliosa. Arrivato il momento di scendere, un senso di incompletezza ci pervade, un po' come se ci fossimo dimenticati di fare qualcosa, un qualcosa che chiudeva il cerchio.

Io e mio fratello Andrea, per quanti possano essere gli anni che ci dividono, abbiamo un filo invisibile che ci unisce, nel profondo. Un legame che va oltre le banalità caratteriali, un istinto primordiale oserei definire. Un istinto che nasce nello stomaco e che si rivela negli occhi.